Anna Maria Bonfiglio su “Profusioni” di Anna Bertini

Apr 9, 2016 by

2cover anna bertini_solo primaSono sicura, non andate di schiena
è il mondo che vi si gira
e mostra la gobba
s’inchina…
Intanto silenziose
vanno le donne
lontane dalla vita.

Questi versi, contenuti nella raccolta Profusioni di Anna Bertini, mi hanno riportato alla mente due versi di un poema di Eliot, che recitano: “Nella stanza le donne vanno e vengono/ parlando di Michelangelo”. Si può obiettare quale possa essere il nesso fra le due citazioni, ma spesso in letteratura e in particolare in poesia vi sono rimandi, talvolta inspiegabili ad una prima lettura, che risiedono nella nostra valigia della memoria. Ritornando alla citazione eliottiana, “nella stanza le donne vanno e vengono/ parlando di Michelangelo”, questa immagine, che torna due volte nel poema Il canto dell’amore di J. Alfred Prufrock, vuol dirci sicuramente qualcosa: queste figure femminili compaiono e scompaiono nella stanza, dunque attendono a qualcosa di pratico, e intanto svolgendo la loro funzione parlano di Michelangelo, vale a dire della pura bellezza. Da ciò, a mio avviso, si ricava la vera metafora dell’immagine poetica e cioè che l’idea della bellezza, incontaminata, innocente, primigenia, può risiedere e manifestarsi anche nell’esperienza del quotidiano. Nella poesia di Anna Bertini che ho citato in apertura le donne che se ne vanno si lasciano dietro parte di questa bellezza vissuta: la nostalgia dell’amore, dell’alba, delle risa, del sole che scalda; se ne vanno “con rimpianto e pace”. Scrive l’autrice: “la luce che trafigge il mondo lo restituisce senza brutture e senza dolore, è solo l’illusione che riesce alla bellezza, il suo potere trasfigurante”.
In questa raccolta la bellezza s’annuncia già nella stessa morfologia della plaquette: le poesie che la costituiscono, infatti, hanno un corredo di attenzioni che la arricchiscono e le assegnano un valore aggiunto: ogni sezione riporta in esergo citazioni che vanno dai versi di una canzone dei Doors a quelli di Paolo Conte; da un testo di Ingeborg Bachmann a un’ode di Pablo Neruda, e viene aperta da una scritta calligrafica e da una riflessione in prosa, per cui alla fine il corpo delle poesie pubblicate risulta più robusto e sostanzioso di quanto l’esiguo numero possa far supporre. Sono infatti diciotto le poesie raccolte in Profusioni che, appunto come annunciato dal titolo, si espandono in ricchezza. È mia abitudine, quando mi trovo a presentare un libro di poesie, soffermarmi prima di tutto sul titolo, che ritengo sia il primo segno dell’identità e della connotazione del suo contenuto. Profusione è un termine ambiguo, ambivalente, perfino addirittura trivalente, con il quale possiamo designare, secondo i dizionari, tanto il semplice scorrere di un liquido quanto la prodigalità e/o l’eccesso. Nel caso di questa densa raccolta siamo di fronte a un’ulteriore accezione: la generosità emotiva e spirituale. La poetessa Anna Bertini ci trasmette un patrimonio di esperienze e sentimenti e lo fa con estrema cura e delicatezza, la sua espressione poetica si manifesta nell’equilibrio della bellezza intesa come valore da contrapporre ad un certo vuoto sociale e ideale, imbuto dentro cui si restringe il desiderio espansivo della comunione con l’uomo e con la natura. Scrive in una riflessione in prosa: “Non è facile dire del rosmarino. Cercarne l’aromatica empatia, ed avere riscontro del suo interesse per il verdeggiare intenso”. Espandendo il suo colore e il suo odore l’erba parla con il mondo, un’aperta metafora delle capacità di cui uomini e cose sono in possesso per attivare una comunicazione emotiva. Non è facile dire del rosmarino: ciò che appare semplice ed umile ha radici profonde e si dona generosamente. La bellezza implicita nelle grandi e piccole manifestazioni della natura, nella magnificenza e nell’umiltà, nella diversità che ci distingue, annulla la differenza fra il dato minimo e il segno grandioso. È lo stesso rapporto con la realtà che differenzia l’uno dall’altro e che pone ciascuno nella libera volontà di esprimersi “senza lacci”, come sottintende l’autrice nel testo che apre la raccolta: “Non so fare le cose per dovere/ mi vengono male/ (…) Non so fare le cose in ordine/ mi vengono storte/ (…) non so fare le cose senza rompere/ le sequenze”. Una dichiarazione di poetica che aiuta il lettore a penetrare nell’universo creativo di Bertini, sostanziato da un forte bagaglio culturale nel quale sono presenti elementi letterari, musicali, etnografici, storici, sociali. Anna Bertini, che proviene da esperienze internazionali, è immersa in un background che le permette di esplorare varie discipline, la sua poesia risulta profondamente radicata in una cultura extranazionale che le assegna un valore di segno universale. La raccolta, come ho accennato, è pervasa da citazioni e rimandi, e ad una prima lettura alcune poesie possono suscitare un senso di spaesamento per l’apparente difficoltà di collegare il testo al sottotesto. Ma nello stesso tempo ciò costituisce un ulteriore motivo per andare più a fondo nella lettura e potere acquisire gli elementi che permettono di cogliere il senso completo del testo. A questo proposito voglio citare la poesia Yamore. L’autrice inizia la prima strofe con i versi: “Con gesto stanco nel Suk/ a cercare il disco del nero bianco/ (…) spingendo una poussette”. Siamo in Africa, il soggetto, in una condizione di stanchezza, cerca il disco di un musicista nero bianco e spinge una carrozzella. Si trova in uno stato di disagio, un nero bianco è un ossimoro dunque bisogna andare oltre la definizione e capire perché questo nero è bianco. Nella seconda strofa della poesia si verifica uno scarto, ora lo sguardo non è diretto sul luogo fisico ma focalizza uno stato intimo: “io sperso avorio/ nella città ebano/ dei contrabbandieri neri/ per dimenticare la paura di non farcela/ a reggere sul corpo/ la tua Africa.” Tutto il testo non rimanda ad un viaggio turistico, compiuto solo per il piacere di conoscere una terra nuova, di scoprire altre bellezze e acquistare souvenirs, suscita bensì l’idea di un viaggio realizzato con un obiettivo ben preciso che viene suggerito dai versi “per dimenticare la paura di non farcela a reggere sul corpo la tua Africa.” Questa poesia mi ha colpito in modo particolare. Al di là della bellezza dei versi, dell’atmosfera esotica e dolente che sprigionano, qualcosa mi spingeva ancora oltre. Spulciando la biografia di Anna Bertini ho appreso che aveva adottato una bambina africana. Inoltre, la citazione in esergo alla poesia mi porta a conoscenza del musicista maliano Salif Keita, un nero affetto da albinismo, una condizione che in Mali è segno di sfortuna e per la quale Salif viene allontanato dal nucleo familiare già da bambino. Tutto mi torna. La poesia mi parla, il vissuto genera la metafora e la metafora è il simbolo di una condizione vissuta. L’apparente discorsività del testo poetico esprime un sofferto disagio per una condizione di diversità declinata sia nei suoi risvolti sociali sia nello stato intimo di chi guarda e soffre. Si genera una sorta di transfert fra l’autrice e il soggetto del testo, entrambi in qualche modo “esiliati” in un contesto sociale che distingue per categorie. Questo motivo tematico lo ritroviamo nella poesia Dis-uguaglianza che recita: “Tutte le volte che tocca/ la stazione uguaglianza/ la locomotiva si schianta”, è l’incipit di un testo breve, ispirato al progetto musicale Different trains del musicista ebreo-americano Steve Reich. Una poesia densa, serrata, che nel mortifero progetto dell’Olocausto include la barbarie di ogni genocidio passato e presente. Forse l’uguaglianza, sembra avvertirci, è solo un mito, un’utopia che coltiviamo per non morire di disperazione. A questa stessa radice tematica mi sento di collegare altre due poesie, La passione secondo e San Gregorio Armeno, allegorie parareligiose che si sviluppano secondo lo schema compositivo della ballata. Il primo testo s’annuncia con un titolo ellittico: La passione secondo. Non si tratta dunque dell’evangelica passione giovannea, e tuttavia non è meno drammatica di quella poiché ci pone davanti ad una nuova e altrettanto dolorosa vicenda, quella del travaglio di coloro che si avventurano per nuove frontiere. Creature sperdute, anonime: mani ruvide come funi, sguardi smarriti e indifesi, preghiere che muoiono assieme alla speranza di essere chiamati per nome. San Gregorio Armeno, nonché santo patrono dell’Armenia, è il vescovo che ha dato il nome ad una notissima via napoletana, conosciuta come la strada dei presepi. Ed è un presepe sui generis quello che raffigura poeticamente la nostra poetessa, un presepe vivant dove in un’atmosfera quasi teatrale le figurine presepiali si mischiano ai personaggi umani, in una commistione che travalica la rappresentazione sacra per assurgere ad immagine di vita: la vergine e la zingara, i Magi e il Pescatore, lo zampognaro e Pulcinella, San Gregorio e il Bambinello, tutti scenograficamente insieme, per un Natale di ecumenica condivisione.
La peculiarità di questa raccolta è l’abilità con la quale l’autrice riesce a far convivere in pochi testi tematiche e tensioni di matrici diverse, mantenendo sempre un’alta soglia d’attenzione verso la koiné stilistica. Il suo sguardo d’artista segue direzioni multiple: dall’allegoria al disagio sociale, dall’osservazione naturalistica all’introspezione dell’animo, dalla nostalgia per ciò che è sottratto dal tempo alla tesaurizzazione del dono della vita. “A quel tempo i pensieri erano interi, ma gli abiti erano spesso fatti di scampoli di stoffa”, scrive, mettendo in correlazione gli abiti poveri e la ricchezza dello spirito. E nella poesia Fuga dal corpo affonda nell’esplorazione della fisicità offesa dal tempo ponendola in rapporto al desiderio della rinascita. Ancora una volta la dualità corpo-anima, materia-spirito. Presente nella realtà soggettiva e nello spazio angusto dell’oggettività, Bertini compone una partitura dove razionalità e sentimento si dividono le parti. In questo senso è paradigmatica la poesia Lo spazio di una sera: “Mi distendo in questa sera/nella sferica luce/ che conduce/ verso la finestra/ mentre l’atmosfera disserta/ di spazi e teli agitati/ da poco vento”. Nell’incipit il focus è sul soggetto, che placidamente accompagna l’incedere e l’insediarsi di quella parte di tempo che conclude la giornata. E in questa sorta di contemplazione prende vita un ricordo che poco per volta occupa uno spazio dimenticato. E il testo vira verso una dimensione oggettiva: “Dimenticate sono/ le utilità della forma,/ non esiste più norma/ che dica in modo esatto/ dei metri lungo un muro”. Nella chiusa il testo torna a focalizzare il soggetto: “Guardo ancora l’aria/ che mi circonda./ Il vuoto è pieno/ della serica ombra.” La poesia presenta dunque uno sviluppo circolare che inizia e si conclude soggettivamente ma che include all’interno lo sguardo quasi scientifico verso l’oggetto. E voglio soffermarmi ancora su altri due testi particolarmente interessanti, Le albe a settembre e Sempre settembre. “Piango le albe lontane di questo settembre/ dov’è l’uva matura?/ dov’è la calura che scende/ sul giorno?/ Piango e medito/ un ritorno furtivo/quatto/ nelle erbe mosse del mattino/nei profumi del vino/ e nelle melagrane/che con tatto/ curvano le schiene/ alle fronde/ rotonde/ come nostalgiche/cantilene.” In questa breve ode all’autunno riconosciamo i simboli che trascendono il transeunte: settembre prepara una nuova stagione, un tempo umbratile di malinconia e perdita, ma la tristezza porta alla meditazione e questo raccoglimento del pensiero genera uno stato di consapevolezza: la melagrana è la rigenerazione, è la vita dalla scorza dura ma dai tanti semi, il vino è la festa, le cantilene la gioia del tempo che ritorna. Il percorso vitale è ciclico e circolare, un eterno ritorno nel capovolgersi della clessidra. “E così settembre/ muove le ombre / e le tende/ gli anni e le foglie/ Ogni rinascita/ un distacco/ del picciolo/ dall’albero”.
“Ma tu torna – dice la Penelope di Anna Bertini – Anche i conti tornano/ alla fine del giorno/ se non viene il tempo ladro a rubarti/ qualche soldo dal cassetto…”. Archetipo di ogni esistenza, di ogni sistema e di ogni cultura, il ritorno presuppone un viaggio, fisico e/o epico come quello degli eroi greci, o mentale e spirituale, quindi anche una discesa, un attraversamento che può significare perdita e dolore, distacco ed esilio, ma anche conoscenza e consapevolezza. Per ogni Ulisse che torna lacero e ferito una Penelope ha atteso preparando teli di lino, spezie e profumi, perché sostanza del nostos è l’attesa, il prepararsi a ritrovare persone e luoghi. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via- scrive Cesare Pavese ne La luna e i falò: “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. E così la nostra poeta conclude la sua Penelope: “Allora ti aspetto/ Mi metto dirimpetto alla vita/ con resine copro la ferita dell’assenza/ e spargo qualche essenza su un asciugamano./ Poi ci piango dentro l’attesa,/ no, no, non mi sono arresa/ non mi sono arresa”. Immagini forti, in questo testo, che racconta una verità eterna, oggi come sempre il tempo è il ladro che non fa quadrare i conti, e non ci sono unguenti per sanare del tutto la ferita di ciò che si è perduto.
Nel variegato scenario della poesia contemporanea, abitato da ogni forma e stile, dal veterosperimentalismo al neoliricismo, espressi molto spesso in modo arbitrario e caotico, la poesia di Anna Bertini si colloca autonomamente per la cifra stilistica ordinata e originale, nella quale ogni parola, ogni pausa, ogni elisione sono funzionali e necessarie al dettato essenziale della versificazione. Profusioni è una raccolta di poesie che oltre al valore letterario ha il pregio di suscitare nel lettore l’interesse e la curiosità di andare oltre il mero piacere della lettura per inoltrarsi in un territorio più profondo, quello della conoscenza.

Anna Maria Bonfiglio

Palermo, 30 marzo 2016

__________________________

 

Anna Maria Bonfiglio vive a Palermo dove svolge attività nell’ambito letterario. Giornalista pubblicista,  ha collaborato con i settimanali dei gruppi Rizzoli e GVE, con i mensili “Siciliatempo” e “Insicilia”, con la rivista letteraria “Sìlarus” e con molti altri periodici fra cui “Kaléghé”, “Il giornale del Mediterraneo”, “Sicilia Notizie”, “La Nuova Tribuna Letteraria”. Suoi articoli, brevi saggi e poesie sono reperibili sul web all’interno di alcuni siti  fra cui “Italialibri”, “Progetto Babele”, “L’araba felice”, “Il sottoscritto”. Ha curato un corso di analisi ed interpretazione del testo poetico presso l’Istituto Professionale CEP di Palermo ed un laboratorio di scrittura creativa presso la sede regionale ENDAS Sicilia. Dal 1987 al 1998 è stata presidente dell’Associazione Scrittori e Artisti e nel 1998 del Gruppo Ottagono Letterario. Ha diretto il periodico “Insieme nell’Arte” ed è attualmente redattore del giornale online “Quattrocanti”; ha inoltre scritto prefazioni per antologie e raccolte poetiche e curato reading. Ha pubblicato libri di poesia, narrativa e saggistica letteraria.

 

Related Posts

Tags

Share This

Leave a Comment

You must be logged in to post a comment.