Beppe Costa su “Quanto non sta nel fiato” di Duska Vrhovac
Non molti sanno, salvo chi ha avuto a che fare con me, che sono solito amare la poesia e i poeti. Non tanto perché ho amici che scrivono ma, viceversa persone che scrivono (bene) diventano miei amici o da me, specie in passato, vengono sostenuti, qualora potessi dar loro qualche aiuto (anche solo umano).
Così è stato con tanti artisti, la gran parte purtroppo scomparsi.
Ma anche oggi, visto che la passione poetica sostiene la mia salute, continuo a scoprire poeti (Stefano Iori, Stefania Battistella, Iago, sono fra i più recenti.
Quando si tratta di autori stranieri, la lingua si frappone in qualche modo ed è più difficile il contatto. Ci vuole più tempo e impegno ma la soddisfazione è ancora maggiore.
Tradurre, come mi è già accaduto con Fernando Arrabal o Naim Araidi non è facile, e la lingua è anche relativa se non si entra nello spirito dell’autore, nella musicalità dei vocaboli usati, mantenendo quindi sia il senso, che il ritmo che il poeta ha nella lingua originale.
Questa introduzione, apparentemente superflua, è soltanto per spiegare brevemente e senza annoiare tutto ciò che in sintesi ho scritto sin qui (il buon lettore comprenderà oltre le parole).
Stavolta la scoperta si deve a Dona Amati e Ugo Magnanti (editori di Fusinilialibri) ed è un piacere ancora maggiore scoprire nel campo vasto e contorto della poesia di avere dei complici.
Grazie a questa prima pubblicazione (per l’Italia), Duska Vrhovac è ospite in occasione del Primo Festival al Femminile Eros e Kairós l’8 giugno al Ninfeo di Villa Giulia.
Duska arriva dalla Serbia ma, la propria terra, come accade ai veri grandi poeti, diventa il mondo. E i suo veri amici e complici i poeti. Più chiaro, forse, adesso?Così ascolto, sempre più attento i suoi versi asciutti, intensi, frecce doloranti prive di compiacimento, talora spezzati da feroce ironia, senza concedere scampo al dolore mentre racconta di sé, come destino di essere umano, colpendo con poche frasi cuore cervello stomaco di chi ascolta.
Ho avuto da pochissimo il volume e preferisco, come spesso capita in questo spazio, anziché esibirmi in complimenti e\o giudizi critici, riportare parte della prefazione attenta di Ennio Cavalli e, soprattutto, i versi dell’Autrice.
b.c.
[“Non devo più andare da nessuna parte, / tutti i viaggi possono cessare, / le fughe, le ricerche, ogni cammino”. Quanto non sta nel fiato di Duška Vrhovac si apre con questi versi, anzi si apre su questi versi, come una finestra sul destino, come una finestra sul domani. Ed è somma di paradigmi e incombenze, rischio pilotato, bilancio pieno di sovvertimenti.
Con astuzia sottintesa, Duška parte da una finta resa, riflessa nel titolo del primo capitolo, Il diavolo ha da tempo compiuto il suo lavoro, per impennarsi in momenti che sanno di catarsi: “Quanto senso sia rimasto / nell’ultimo atomo di clorofilla / nel vaso buttato dietro la porta chiusa / non è più una domanda, ma una risposta. / La risposta che si deve sottacere”. La sfida è senza cerimonie: “Ora la mia fame è così insaziabile / che non la sento più / e la notte così interminabile / che lungo sonno mi pare quest’insonnia”. Duška girovaga sul tappeto di cose terrene, tra impedimenti e contrappunti, fino a imbattersi in un amore senza tempo, non si sa se ricomposto o attuale, se sognato o appena esploso. La storia di questa esplorazione diventa colonna portante, sacca di drenaggio. Più il pensiero tenta azzeramenti, più si espande…]
La “voce” di Duska
Eppure
A questa mia unica vita
piccola e personale
quando penso
di rado
potrebbe andare molto bene
sarebbe anzi bella:
un po’ di primavera
erba
fiori
amori
una casetta
dei figli
un marito
un amante
dei parenti
amici
un grammo di carriera
bagliori
un briciolo di talento
giochi di parole
un anno dopo l’altro
occhiali sempre piu forti
e anche se
la morte è certa
questa è la vita
qui sono
qui sono stata
ho intessuto un nido
e gli uccellini poi
il canto festivo
ed è così umano
gradevole
caldo
che quasi ti viene da piangere.
Eppure
caro mio
a questa mia unica vita
piccola e personale
quando ci penso
e mi fermo a guardare
tolti gli occhiali
mi lascio un po’ trasportare
e copro gli occhi con le mani
non mi aiuta neppure la morte certa:
da quando l’uomo esiste
caparbio e abile
mente a se stesso.
Ventitré febbraio settantasette
Inatteso
come un segreto
o una vendetta
per tutta la notte qualcuno
ha martoriato la mia anima
fredda la mano
ruggine il palmo
gli occhi vuoti
non terreni
come se non intuisse
che non sono morta abbastanza:
non lo sono
e non penso
di aprire gli occhi umidi
anche se è buio
e non si vede
né quello che sono
né quello che non sono.
Volti Nuovi
Gli uni si sommano
Tutto sminuzzatogli altri si sottraggono.
svenduto a buon mercato.
Blasfemi nelle chiese
solitari nelle case
nelle maternità silenzio.
Nei posti importanti
persone insignificanti
segni illeggibili sulla fronte
fra amici sconosciuti
tutto spappolato
i nessi crepati
timori orrendamente confermati
inganni svelati improvvisamente.
Nessun malinteso.
Malato il corpo s’estingue
è in metastasi il cancro celeste.
Anche di questo gioco infine
si vedranno i personaggi.
Nascere
Solo nel passaggio
per la porta santa
fra i mondi
solo in questo
breve attimo
lui è tuo figlio.
Solo quando piangendo annuncia
il suo arrivo in questa valle
saprai che questo è tuo figlio
solo in quell’attimo mentre
esce dal tuo ventre
e passa dietro la tua soglia.
Solo fino a quest’attimo
il tuo sangue
scorreva nelle sue vene
e il tuo cuore al suo
dava il ritmo.
Ma dopo
dopo lo strillo
provocato dalla luce
vesti il lutto
e prega per lui, Madre.
La carne della tua carne
e il sangue del tuo sangue
quel tuo figlio dato dall’amore
e dal volere dell’onnipotente
diviene cittadino del mondo
diviene ape
nella folle arnia del pianeta
e il tuo ventre
contratto e vuoto
diviene solo il nido
rifugio caldo
per le sue
future cadute.
Si contrarrà
a ogni suo contrarsi
e sanguinerà per ogni
sua lacrima
e fino al giorno del giudizio
mai più
Madre unica
né te stessa
né pace
né libertà
avrai mai.
Sara
Quando gli occhi
s’incontrano
e si fissano
dimmi allora
la parola
che ti e rimasta in gola.
Sara
che sono sfuggita alla morte
come se ci fossimo
riconosciuti ancora.
TU
Per me hai fatto sì che tutto esistesse
il chiaro di luna, l’erba e l’acqua,
colore, suono e splendore
tutte le bellezze riflesse sulle mie finestre
e tutti i saluti volati alla mia porta.
Da quando sei venuto
la soglia di questa casa
s’è fatta fonte segreta di canto.
Sul tetto non un lume
ma una stella splende.
Tutti gli estremi
spontanei confluiscono nell’armonia.
Quando amavo te
Quando amavo te
costruivo intorno a noi una casa,
sotto la tua pelle deponevo
cellule infinite, fecondate,
al tuo sguardo destinavo il focolare,
dalla pietra facevo divampare il fuoco
e tu lievitavi e crescevi
come una fanciulla inebriata di baci.
Quando ti accoglievo
togliendoti a te stesso,
intorno al letto
disponevo i frutti maturi dell’autunno
e disegnavo rigogli di bambini,
mutando in latte le gocce di pioggia.
Quando amavo te
tutto ciò che era te, rimaneva in me
e io credevo che ci saremmo salvati.
Eppure ecco che ce ne andiamo,
e nessuno sa come ci scorderemo.
Poeti
I poeti sono una banda
di presuntuosi vagabondi,
interpreti ingannevoli
del quotidiano e dell’eterno
ricercatori vani,
smodati amanti,
cacciatori di parole perdute
inseguitori di strade e mari.
I poeti sono giardinieri superbi
di intricati giardini regali,
precursori di deviazioni stellari,
messaggeri di navi affondate,
violatori di sentieri segreti,
magistrali riparatori
di Carri Grandi e Piccoli,
raccoglitori di polvere astrale.
I poeti sono ladri di visioni,
scopritori di utopie scartate,
ciarlatani di ogni specie,
degustatori di piatti avvelenati,
figli degeneri e di professione seduttori,
cavalieri che volontariamente
alla ghigliottina offrono la loro testa
eseguendo da sé stessi la condanna.
I poeti sono custodi incoronati
dell’essenza risposta nella lingua,
amanti dei misteri insolubili
ammaliatori e provocatori,
sono i prediletti degli Dei,
assaggiatori di bevande portentose
e dissipatori vani
delle proprie vite.
I poeti sono gli ultimi germogli
della specie più sottile di esseri cosmici,
coltivatori di fiori bianchi interiori
e falsi creatori di mondi insostenibili.
I poeti sono interpreti dei segni perduti,
portatori di messaggi essenziali
e di avviso che la vita è inesauribile,
e l’universo un progetto mai finito.
I poeti sono lucciole sull’aia del cosmo,
conquistatori della grande fascia
di colori che fa l’arcobaleno
esecutori della musica sacra
da cui è nato l’universo.
I poeti sono invisibili interlocutori
nel silenzio sul senso e sul non senso
di tutto ciò che si vede e non si vede.
I poeti sono i miei soli veri fratelli.
Beppe Costa
fonte: http://beppe-costa.blogspot.it/2014/06/duska-vrhovac-quanto-non-sta-nel-fiato.html