Giacomo Cerrai su “Riguardo all’obbedienza” di Dona Amati
risalire le mie gambe
incastrare l’occhio buio
– la luce non serve alla pupilla
umida come
una sentenza irrevocabile –
Ingoio il demone, la mia stella capovolta
i pensieri traboccano peccato originale,
quello che legge la notte
del fuoco acuminato,
che sbatte le ali dentro la pelle,
che mi allunga la schiena
per confinarla alle tue membra
saccheggiami,
anagrammando gesti
intimati dalle nostre dita oltre
l’ultimo possesso del tuo odore
– anche un frammento
può farmi guaite —
come scommessa dalle tracce discinte
è un’altra induzione
alla carne in festa
un losco lessico tabulato in sillabe
sintagmi – appunto – di serra in esplosione
terra di ioni intermittenti
l’accoglienza simultanea di tuoni nel corpo.Quell’uomo nella stanza, dico,
come sa compire,
come replica la matrice laida che
ristora le sfasature delle viscere
lui escogita orazioni circolari sui corpi
tondi come vipere allacciate
alla regola che
osanna il pasto fisico.
DI EX BACIO, IL MATTINO D’AUTUNNO
Stamani è il soffio che recita con me
nell’accorgersi che qualcosa è
da tenere stretto.
Perché le luci del mattino più rosse
non claudicano alle solite insofferenze
e ingoiano un altro saluto a
fìngere ancora che
l’eco del selciato sia spazio dei tuoi passi.
Si muovono queste foglie sul chiaro dei tuoi occhi?
Si muovono perbene sull’orecchiabilità del vento.
Chissà se l’autunno di un bacio
intristisce anche dell’alba il sottofondo
quello che fa di tutto,
già orfano di verde.
da L’impermanenza – Obbedienza a Photos
Nel languore amoroso qualcosa se ne va, senza fine; è come se il desiderio non fosse
nient’ altro che questa emorragia. La fatica amorosa è questo: una fame amorosa che
non viene saziata, un amore che rimane aperto.
Roland Barthes
… che non è solo esile il fuoco
del cuore quando brucia,
è un tormento tolemaico al mio
tempio solitario che caduco
gli sopravvive intorno.
Per aspera ad astra
antica ritorna la stella a venire,
come guscio migrabondo d’armonia.
AL MIO MASCHIO DI CASTA ZITTA
Mi monti nel laccio del silenzio.
È così che è. Il lieto fine è fermo al piacere, un soccorso agli istinti.
Sei complice di te stesso, non dell’aria che intorno
gareggia col mio nome. Non vuoi sentirlo, ed è
inutile che io presti la voce.
Un groviglio zitto è la faccia rovescia della medaglia
che ti arricchisce il vanto, il sol levante che t’illumina
circoscritto alla schiena nuda.
Gli occhi li tieni riluttanti alla mia aura, bui e poveri di indulgenza.
Oggi ti incontro. Ho già ridotto a zero
l’innocenza, trema un tam tam di libidine incompleta,
la tua meta metà, l’irrisoria adorazione del tuo fusto
alto sulla mia obbediente inclinazione.
A darti silenzio solido fino alle ossa.
Nessuno sa che ti sdrai accanto a me, e dovrei anch’io ignorarlo.
Non lasci la testa nel cappio del sentimento
ma il corpo biblico ne ha due, e la mia ne è strangolata.
Esisti, non esisti, mi interroghi, non parli.
Quindi mi resti come io voglio, e non puoi farci niente.
Come una certa morte che si dà, una libertà spenta.
ANDARSENE (DISMESSA)
Il momento è tuo, adesso
mentre addomestico il sangue.
Interrompo la voce se è arrotolata su un silenzio regressivo.
Io contengo.
Sono il tuo nulla non rivelato
l’acqua statica muta
il nocchiere cieco
la nuova deriva del silenzio.
Ora sei tu che scivoli come
un’unghia che ha sacrificato la presa,
non ci salva più la fretta anchilosata sul sesso
i corpi marciscono al primo orgasmo, la voglia
dismette la sua sete, una bancarotta ai sussulti del piacere.
E quella foga di andartene, il soldo di latta del tuo bottino
che pretende pagar d’ufficio la mia rabbia.
Resto, indigente – e illesa – come un dio infame.
**
Scorteccio pudori che fanno rete
di liane nella foresta soffocata
dei miei incanti ma eccomi troppo
sola per rotolarmi ancora nei perché.
Batto la polvere e scaglio frecce
per un cibo di selvaggina triste
sulle rocce fredde poso le mani
le gambe intrise della mia acqua nuda.
Ma è nel senso sottile del rifiuto
di un volo solitario, lo scompenso
di equilibro che trottola via
e sottrae le domande impudenti.
Non dico e non potrei dire
neanche aggiustando la fila delle parole
del morso che smagrisce il mio giorno.
La spiga indora tanto che io perdo colore.
Le mie rovine migrano estinguendosi.
da La quintessenza – Obbedienza ad Anteros
Dovrei costruirla la cruna dell’ago
per passarci dentro
ostinata al senso andato di un passaggio unico.
Nel tuo giro di bocca, amore
arrotondarti lo spazio con le parole
prima di
fare leva sugli anelli nascenti.
Di carne e delizia.
Solleva bene il caldo del mio ventre.
Cos’hai da pungolarmi dentro?
Io so come fare
a martellarti le tempie e non deluderti.
È ad armi pari la catasta divelta
serrata infine come crisalide.
CERTE PICCOLE NOTTI
Se ti lasciassi in fondo alla voce
la mia bocca stupita,
tutto il fremito di brace sanguigna
che arde il sole degli amanti creduli
e i tuoi piedi stesi sul mio respiro grave
nel bozzolo intimo di lenzuola e sospiri,
potresti credere delle piccole notti insieme
il profondo liquido odoroso che ne deriva.
Siamo finestre socchiuse alle parole nuove
la trasparenza carnale degli accenti.
Certi amanti non tacciono del buio
che la luce più audace,
lo strano stato dell’esilio volontario
nell’urgenza delicata del silenzio.
Lì restano, intimi innocenti.
POESIA PER UN POETA
Potendoti crescere nella bocca
sceglierei d’esser parola
il fusto di un suono antico, che
fiato corto sull’insonnia dell’amore.
Metterei a dimora la voce perché il nodo
morbido del tuo nome perfettamente
veda l’armonia della sua pronuncia
quando son io a chiamarti amore
rotolando come sorso in piena nella gola
attenta a benedirmi del tuo respiro
sarò pelle viva di un verso atteso che
come inno della lingua abiterà amore.
a Ugo Magnanti
fonte: http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/689-Dona-Amati-Riguardo-allobbedienza-Poesie-dal-corpo.html