L’USTIONE NELLA POESIA – AA.VV. ed. LietoColle 2010

Dic 23, 2011 by

L’USTIONE NELLA POESIA

contributo di Dona Amati

 

 “… non so che fare: sono divisa tra due pensieri …” (Saffo – Frammento XXXIV)

 

 

… è vero, Saffo ha anticipato secoli prima la definizione di quel disagio interiore che la gente come me avverte. Fin dalla prima percezione della coscienza, vivo l’implosione del mondo esterno in caduta libera nel mio mondo interiore, l’intervallare di scambi e risarcimenti emotivi che si rimescolano in un equilibrio sempre precario alimentando costantemente la fucina dell’inquietudine; ma poco importa questa contraddizione, quando l’intensità è il cardine del mio percepire i micro e i macro cosmi quotidiani.

Non ho mai pensato alla Poesia come scrittura, non posso considerarla come una tecnica fatta strumento per l’espressività: io la conosco come la mia ‘dolce bestia’ dai tre artigli (il tripode che Ezra Pound identificava in melopea (musicalità), fanopea (immagine), e logopea (contenuto):  Lei è l’istinto,  il calore, la fiamma che consuma e conforta, il dono non richiesto, spesso inaspettato, ma sempre gelosamente custodito, nel timore di perdere il suo influsso consolatorio. Sono stata una figlia non voluta e disconosciuta: una bambina non è mai disposta ad essere disabitata dalla  tenerezza, così, nei pomeriggi silenziosi e di penombra, disegnavo sul foglio con le parole il planisfero dei miei sentimenti, imparando a cauterizzare con la Poesia le emorragie affettive, le latitanze del mondo dei ‘grandi’; Lei arrivava quando avvertivo l’abbandono e il vuoto mi ingoiava. Allora la generosità delle parole si affrettava nella testa, e stendeva per me delle coltri sotto cui, accoccolata, ritrovavo il calore di cui avevo bisogno. Io scrivevo, riempivo gli spazi sul foglio e sulla geografia dei miei giorni. Lei era il fuoco, la scatola magica degli unguenti, una suggestione che mi rendeva improvvisamente bastante a me stessa, nonostante ciò di cui ero priva.

Io  comunque crescevo.

La poesia, madre succedanea, ampliava la pochezza degli scambi affettivi,  e io interiorizzavo ogni esperienza sensoriale per restituirla al foglio, alla riparazione, al futuro.

Non sapevo ancora che m’avrebbe fatto raccontare di me.  Ancora oggi  Lei riempie i miei spazi vuoti e diseguali.  Calcifica il pensiero.  E la gente come me sa riconoscermene i segni addosso.

Di Lei porto il marchio della simbiosi.

Montale diceva: “La Poesia è un dono che presuppone l’umiltà di chi lo riceve“, ed io mi sento sorpresa, infinitesima, un veicolo di nude visioni per me e per gli altri, non sono solo il corpo che mi genera tensioni, ma anche lo spirito animato dalla Musa. Sono la catarsi poetica, il tramite elettivo che la Musa concede non a chi ne è degno, ma a chi ne è epigono in fede. So cosa e quanto ho adagiato nei versi, messo e mosso in essere.

 

“Nessuno è escluso dal desco della Musa, basta solo avere fame

e sopportare le sue dita di fuoco, Lei entra dalla gola per nutrire.”

D.A.

 


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