Fortuna Della Porta su “Caro bastardo, ti scrivo…”
Ancora agli esordi, la giovane casa editrice si presenta alla scena con un piglio deciso per la qualità grafica, il requisito artistico ineccepibile e le iniziative antologiche originali. Gliene rendiamo merito.
Anche questa volta in Caro bastardo, ti scrivo le peculiarità sono rispettate in pieno.
Premettiamo che affrontare l’esame di un’antologia è sempre atto parziale perché a voler essere esaurienti ci si dovrebbe dedicare al testo di ogni autrice/tore singolarmente ed è tanto più vero nel nostro caso davanti a un libro che offre ottantacinque testimonianze di nomi noti e sconosciuti, i quali concedono pezzi della propria vita e del proprio sentimento in maniera tanto diretta e trasparente da suscitare ogni volta stupore.
Nata da un concorso letterario, la pubblicazione si lascia percorrere in leggerezza e offre spunti godibilissimi. La vivacità dell’esposizione, che si basa su uno stile veloce, quotidiano, senza orpelli di tipo letterario, coinvolge il lettore ad ogni pagina e, sebbene non si tratti di un romanzo, non si riesce a staccarsene prima di aver raggiunto la fine.
Formalmente le testimonianze passano attraverso la poesia, il post-it, la lettera, la mail, il racconto breve più convenzionale e c’è, di solito, un tu dietro le parole che rende palpitante la denuncia che, nel nostro caso, quasi sempre coincide con l’addio.
Tuttavia, la risposta al tema suggerito è molto più articolata.
È tanto vasta la gamma delle declinazioni del tema, per capirci, che un brano esordisce in questo modo: Cara Italia, così bella e perduta, reiterando il grido verdiano del Va, pensiero, e intendendo che il caro bastardo è il malcostume e il malgoverno che hanno precipitato una nazione, un popolo dalle prerogative alte nel baratro di pianti, sangue e disperazione.
E sorprende pure che a scrivere non siano solo donne, come ci si sarebbe aspettato.
Per questi motivi avventurarsi nel libro è esperienza gradevole, per le continue variazioni di tono e di argomenti.
Dovendo evidenziare qualche linea unitaria di percorso ci si deve, per forza, riferire alla lotta d’amore tra i sessi. La prima meraviglia, però, è l’assenza di donne lacrimose, le vittime che impongono a se stesse la flagellazione del maschio violento, le orche di se medesime, bulimiche della propria anima e della propria dignità, immerse in amori malati che alla cronaca impongono tante pagine di sangue.
Qui siamo, in tutta evidenza, alla fine di un percorso. Le protagoniste sono donne che, rifiutando di annichilirsi, si ribellano e volano in libertà alla riconquista della propria vita.
Al posto delle gramaglie, si collocano l’ironia, la derisione, la rabbia.
Ne viene fuori una figura di compagno, spesso piccina e miserabile, immersa nella miope ricerca di un bene egoista ed ottuso, che non ha saputo condividere una storia, nell’entusiasmo e la disponibilità che quasi sempre le donne mettono nel passo della vita.
Almeno in un caso, l’interlocutore è persino un padre latitante, che ha costretto la figlia all’improprio ruolo di madre.
Spesso le vicende sono terribili per quanto, si immagina, neppure rare, come il rifiuto di accollarsi una paternità. Smarrita, con immenso dolore ho rinunciato a nostro figlio, dirà l’autrice e di fronte a un asserto del genere si tace.
Insomma, per la gran parte ritorna l’antica ‘querelle’ tra il maschile e il femminile e le differenze riguardanti le emozioni, l’affettività e la sessualità.
Nonostante tutti i movimenti femministi, in Italia dagli anni sessanta in poi, che proclamavano la distanza dall’altro sesso, con lo slogan l’utero è mio e lo gestisco come mi pare, sembra che la donna continui a finire nelle secche di rapporti malati o perlomeno insufficienti.
A questo proposito mi ha sorpreso un’interpretazione antropologica del fenomeno che Jacopo Fo fornisce nel suo La corretta manutenzione del maschio, ed. Guanda, dove si afferma che l’umanità ha affrontato per millenni la difficoltà di soddisfare i bisogni primari come l’alimentazione e la difesa personale o del clan, riducendo il sesso a mero scopo di riproduzione.
Solo quando le condizioni di vita sono migliorate tanto da lasciare spazio al tempo libero e al divertimento, in sostanza dopo la pratica dell’agricoltura o addirittura dopo la rivoluzione industriale, gli esseri umani hanno potuto dedicarsi all’amore romantico. Il cervello però non è ancora pronto perché non abbiamo accumulato abbastanza esperienza. È carente l’area dedicata tra i nostri neuroni primordiali e dopotutto il cervello ha un differente assetto biologico nei maschi e nelle femmine.
Insomma, abbiamo ancora strada da compiere per ricomporre la diatriba, nell’attesa ci godiamo i frutti della letteratura che attraverso l’amore ha collezionato le sua pagine più belle.
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Fortuna Della Porta è poeta, scrittrice, critico letterario. Ha pubblicato varie raccolte di versi, tra cui: “Rosso di sera”, Il Calamaio, 2003; “Diario di minima quiete”, LietoColle, 2005; “Io confesso”, Lepisma, 2006; “Mulinare di mare e di muri”, LietoColle, 2008; “La sonnolenza delle cose”, LietoColle, 2010; “Gramaglie e frattaglie”, LietoColle, 2011, “Metafsica dello zero”, LietoColle, 2012. Un poemetto di circa 1000 versi, “Canto Primo”, è apparso sul periodico letterario “Poiesis”. Numerosi i testi in antologie e in rete. In prosa ha pubblicato: “Scacco al re”, opera teatrale per le edizioni Carta e Penna, 2006; i racconti: “Ritratti”, Oèdipus edizioni, 2007 e “Labirinti”, e-book, kultvirtualpress, 2007. Articoli e saggi compaiono con regolarità sui maggiori periodici letterari sia cartacei sia on line. È iscritta al P.E.N. club Italia. Laureata in lettere, ha insegnato per alcuni anni. È nata a Nocera Inferiore ma vive a Roma, dove è Presidente dell’Associazione per la diffusione della poesia “Le Melegrane”.