Guido Fauro su “Due margherite dispari” di Roberto Miano
Estremamente intriganti: vocabolo abusato – ma non ne trovo altro, almeno ora, più calzante.
Se c’è un diritto del lettore ad abbandonare il libro (Calvino, Pennac), qui risulta molto difficile applicarlo – parlo per me, sono stato risucchiato in un vortice: difficile smettere la lettura. Cosa dire, dunque?
Roberto Miano viene elogiato per una scrittura “potentemente contemporanea” – pur se direi meglio, a mio avviso, “pre-potentemente contemporanea”; perché – è vero! – scrive storie ordinarie, ma spesso di persone che si rivelano stra-ordinarie: LEYLA vende poesie e regala fiori e instaura una catena del dono, che fa bene a tutti, come un giorno di primavera già a febbraio. E l’autore – è il merito di chi sa scrivere! – veste tanto ordinario di poesia usando sovvertimenti sintattici, ad esempio o, come detto ancora in Prefazione, usando un “raffinato cesello linguistico”.
LA PIUMA, così, è bellissimo – guardiamone l’incanto di certe frasi, in certi passaggi: “Frugando in un sacco di immaginazione”e dopo “Rimase in bilico su un piede per un tempo lunghissimo, sfidando la pazienza della luna che pure era appesa in cielo da sempre”.?Semplicità nel proporre un parlare poetico in prosa (ne LA DONNA VAPORE, trasferisce tale qualità a un suo personaggio: “Ferocemente razionale, legge prosaicamente la vita, salvo poi refertarla con poesia”). Allora, segnalerei essenzialità e poesia insieme della pagina di diario che chiude LA PIUMA in un notturno innevato: “Caro diario,?non so come spiegartelo, ieri mentre giocavo in giardino, ho sfidato la luna ‘a perdere l’equilibrio’, l’ho messa in difficoltà, io sono tenace, ma per quanto mi sia impegnata non sono riuscita a batterla. … Stasera lei è ancora lì, come sempre.?…?Ma c’è qualcosa che devi sapere.?La luna deve avermi fatto uno scherzo.?Sì perché non so, non lo ricordo… non so quanto posso aver resistito in equilibrio sulla mia fantasia. Così come non so dove e quando ho imparato a scrivere così bene i miei pensieri. Fatto sta che non ho più il mio sacco, né le mie piccole scarpe di vernice rossa. Ho solo questa piuma che ho trovato ieri sera sulla neve.?Questa piuma soltanto e questa ultima pagina di cui rimangono solo poche righe, ecco il motivo per cui, caro diario, ti chiedo: “Tu sai perché oggi all’improvviso sono una donna?”.
Guardiamo anche come descrive MARIA: “vita esile oltreché complicata…capelli rossi scuri come vino che allappa … innamorata della vita…stringe i denti a maledire le sue vicende”; e dunque – separata per abbandono da parte di un marito/padre debole – la vediamo intessere una piccola evasione con Cristiano, il fornaio che “ha un sorriso anche meglio del pane”. Comme il faut, nel buonismo del Presepilogo, “La vicenda si svelerà intensa ma non favolistica, specie nei tempi (di durata e di circostanza). Maria si farà bastare però quella bizzarra euforia che porterà con sé, tra le sue gambe, nella sua testa e, ancora calda, nel sacchetto del pane. Cristiano le sorriderà ancora una volta. Non ci sarà nessun arrivederci. Si saluteranno sulla soglia del negozio”. Più concreto, pur se non negativo, l’Epilogo perché “La vita, a differenza delle fiabe, non è una dispensa di finali generosi. Maria quella sera tornò a casa serena. Il pane era buono e profumava di soddisfazione. … “Ma ci si può dormire sopra” sussurrò al buio, chiudendo gli occhi”
L’autore si mostra consumato nell’uso delle raffinate figure del bello scrivere; troviamo in ogni pagina la ricchezza di giochi sonori di allitterazioni liquide (anime/diamine); e ancora la ricchezza di tantineologismi: l’amore [p]laconico; e poi ‘forsegreto’, ‘forsecondo’, i ‘cavilli’ e la ‘silenzitudine’, la ‘Ragazzelante’ e la ‘busta piaga’; il francese “Touché” che diventa?”Tu scemo”. [una critica però va fatta: a parte nei giochi di parole – del tipo “scont(r)o speciale” con parentesi inserite sulla “r”, perché altrimenti illeggibili! – non troverei necessario virgolettare i vari ‘forsegreto’, ‘forsecondo’; mi viene da dire che in questo la poesia (si pensi alle “parole in libertà” del Futurismo) si appropria di ogni parola spudoratamente consapevole dell’effetto che ne conseguirà, con molta autonomia nell’usarla senza virgolette e quant’altro. Detta critica è d’obbligo: perché il pubblico non creda che io sia stato pagato per dire solo cose belle… no! sono stato pagato per inserire la critica in modo da “confondere le acque”!]
E si mostra consumato poi nell’uso di forme ossimore: si veda MORENA, dove scrive di “un giaciglio aristocratico per barboni” o, subito appresso, quelle contrapposizioni che all’ossimoro occhieggiano: “Divisa rigida e occhi molli, spalle quadrate e mani fragili, capelli corti e addio lunghissimo”); similmente in JOY MARY: “il silenzio di chi tace e ha molto da dire può essere assordante”. “Il nostro è un gioco di silenzi chiassosi”; e persino il mare pare quasi farsi ossimoro del cielo: “mi ha detto che è come il cielo, ma messo al contrario”.
Parole, parole: già la Dedica è bellissima – per il dono che la destinataria ha fatto all’autore: a mamma che prima di andare mi ha donato tutte le parole. C’è, infatti nell’autore, il piacere delle parole: ricercate ed eventualmente de-banalizzate nel fuori contesto – come scrive in MISS TEA: “Le parole valgono per quel che vogliamo far loro significare”. Alla parola in sé dedica molte pagine: si legga da LILLI, su un vocabolario ricevuto in dono, “ ‘Praticamente’ nuovo perché era di Enzone. Solo che Enzone si è fermato alla copertina” i protagonisti si interrogano: “Un vocabolario? E che ci fai? …?”Lo leggo, imparo, apprendo, scrivo e parlo, per esempio con te”.
Intarsi di parole usate per comporre pagine che sanno di racconti orali: Il nonno di AIDI, con “una barba cresciuta sulla solitudine, … pettinata dalla noia”; In 4 DONNE …: “Le righe dei libri si mescolavano scambiandosi opinioni con i numeri delle pagine, i codici e i riferimenti normativi si confondevano con i numeri delle tabelle, le pagine diventavano grigie e la luce improvvisamente sembrava più calda, come un plaid, capace di adagiarsi sulle spalle, il neon completava il tutto cantilenando un concerto per zeta sottili. Il caffè era solo un risibile tentativo di ripescare la coscienza mandata giù con l’ultimo morso di crostata” (va spiegato che ci sta narrando di una pausa post-prandiale? ‘na pennichella?) E che bel respiro questo passo di EBE: “Ho aperto mille cassetti.?Non pensavo di averne tanti a casa.?… E mi sono distratto, frugando tra spille da balia, bottoni, batterie stilo e spicci di vecchie lire lasciati come mancia alla voglia perversa di ricordare.?Rovistavo e c’era di poter versare il mare. Non ci sta” mentre i sogni sì, “sono capaci di contenere il mare in un bicchiere” – si noti sempre questo lirismo impalpabile.
Intarsi di parole usati ancheper creare dialoghi e scontri verbali da sophisticated comedy: FABRIZIA: “senza fretta. Quella la lascio agli altri, io ho già l’ansia da gestire”, “Le sensazioni sono sentimenti disordinati cui non abbiamo dato uno scaffale”, “Nulla. Non sta succedendo nulla. Le nostre sono due storie unite dal caso e separate dalla solitudine”; e in 4 DONNE – sta parlando dei maschi – “L’oro non certifica un cazzo, loro non decidono un cazzo!”.
Questa abilità scrittoria mi ha suggerito nessi con la poesia. Poesia sì, ma quella più disadorna: ho pensato, per esempio a W. C. Williams e al suo celeberrimo assioma “niente idee se non nelle cose”, ben espresso ne La carriola rossa:così tanto ruota?/ su/ di una carriola/ ?rossa/ lucidata da acqua/ ?piovana/ accanto ai polli/ ?bianchi. (Traduzione di Abele Longo). Il QUOTIDIANO-STRAORDINARIO, come dicevo, che ci regala poesia. BERENICE una ragazza “che poteva cercare di conoscere la vita partendo proprio dall’epilogo” (e va specificato, lavora in un’agenzia di pompe funebri) si trova in negozio “mentre annoiata rimarcava con la penna i contorni di margherite cresciute tra i quadretti di un foglio distratto” e “si affacciava sulle persone… solo per preparare le stesse ad uscirne”; infatti, un cantatutore da lei amato “aveva sintetizzato perfettamente il tutto con una frase: non si esce vivi dalla vita” (Vorrei confrontare questo passo con il verso di Mario Novaro: “alla morte ci s’arriva”).
E si guardi come ancora, con semplicità, l’autore sa vestire i corpi per descrivere i personaggi: LA SIGNORA DEI GATTI e “la sua vestaglia, di quelle che ti raccontano di svogliate ricerche su bancarelle per un affare da due euro”; ma non usa solo abiti per vestirli: “Troppo facile indossare un paio di occhi azzurri e risparmiarsi la fatica di dar loro un’anima e un taglio”.
In molti racconti incontriamo l’EROS perché: UN BACIO WOW… “Non credo si debba parlare d’amore ma al limite far in modo che sia l’amore a parlare”. Pertanto, descrive un altro personaggio “eccitato e con la sua lingua che fruga consensi. Forse un bacio serve proprio a trasmettere il gusto di quelle parole che rimangono in bocca a custodire un ‘forsegreto’ “.?E sempre sull’EROS: OCCHI MARRONE BORGATA… dove c’è un: “io capelli biondi e arruffati, come i miei modi” e una lei che “ci riprovò e stavolta usò anche la lingua, andando a frugare nel cassetto fin allora chiuso di certi miei pudori” e ancora “tornò con le labbra a mordere la mia timidezza”; ma in tanta dirompente sensualità, ne ricorda anche un “dente spezzato, esattamente come il destino di ogni suo sorriso”. Quanta fisicità non celata, anche per CYPRIEN: “Abbiamo iniziato guardando le stelle e abbiamo finito a sbirciarci nelle mutande”. Mentre ne LA RAGAZZA DAI CAPELLI VERDI… descrive per elusione un incontro (casuale/voluto?) – che si rivela fruttuoso per questa coppia del momento: “Il resto fu vicenda che non va raccontata, ma lasciata all’immaginazione di chi è consapevole che per raggiungere due attimi qualsiasi ci sono infinite soluzioni intermedie”. E infine in DUE MARGHERITE DISPARI, l’eros si fa lotta e contrasti, e dunque c’è quel: “ “Mavaiaffareinculo!”.Così m’ha lasciata… L’amore, io credo, è il risultato di un conteggio finale” Ma la vita, si sa, “è fatta di coincidenze e certi istanti non riescono a incontrarsi”.
La morte, la malattia, altri temi frequentemente indagati: UN BACIO WOW…: “E non c’è da pagare il biglietto, avete versato un acconto alla nascita, pagherete il saldo alla fine”; in C’EST LA VIE: “Respirò profondamente, afferrò la sedia e l’avvicinò alla finestra, girò la maniglia e l’aprì, di nuovo.Da sopra una sedia la vita, per quanto possibile, sembra anche più paurosa… Le bastava poco, doveva solo decidere di saltare… giù nella luce, per mortificare anche l’ombra più ostinata.?”Un salto, uno solo, ed è fatta…” “. O il raffinato soliloquio – al supermercato, senza che mi dilunghi nel riassumere – di TROPPO TARDI, VERAMENTE TROPPO!: un monologo in cui il personaggio dichiara “Ti inventi che puoi fare qualcosa, si chiama ‘buon viso a cattivo gioco’ [l’] opportunità di fare spesa, ché qualcosa da comprare nella vita c’è sempre” … ma dopo, un imprevisto, qualcosa segna il destino del personaggio in pochissimi istanti (banalmente, potremmo dire: un incidente stradale!) – e tutto si ribalta nella presa di coscienza del morente: “Sbatti la testa, violentemente, sul marciapiede. Temi di esserti fatto male. Ma è un timore confuso. Ti escono i pensieri dal naso e molto sangue dalla testa”. Così questo poveretto vede la gente accalcarsi e chiedere, tra le altre cose: “Sei un artista…?” e lui considera: “Gli artisti sono gentili e condannati ad essere soli. E a morire da soli. Non importa quanti dicono di esserti vicini. Dagli scaffali della vita le cose le prendi sempre da solo” e poi, in un ultimo barlume di consapevolezza: “ “Che significa, cosa vuole dire?” ti domandi. Non riesci a parlare. Non sai se stai morendo. Ma sai che tutto sta venendo meno” mentre l’infermiere “ti mette una mano sulla fronte e la abbassa sul tuo viso facendoti chiudere gli occhi. Hai perso troppi pensieri dal naso, più del sangue forse, ecco perché puoi addirittura credere di essere morto” E ha il tempo di immaginare, a questo punto, che la persona che gli stava a cuore e per cui si era mosso dica: “Troppo tardi, veramente troppo! Magari ci organizziamo per un’altra volta. Mi raccomando, fatti vivo!”. La malattia, dicevo, con una MAMMA ormai “ovattata dal muro di silenzio che sembra essere cresciuto intorno a lei” e “La faccia [che] non esprime un giudizio che sia uno” mentre “Papà sorride per lei. E lo fa sempre con una smorfia di malinconia. Lo vedo che la guarda come fosse una bimba da crescere.?…È confuso papà, non ha molte risposte. Che ne sa lui di vecchiaia (tutti diventiamo vecchi solo una volta) e che ne sappiamo noi? Che ne sa lui (laurea di quinta elementare…) di distrofia miotonica?” Eppure la mamma “Appare serena nel suo silenzio tanto che risponde alle domande stupide (come stai?) solo dopo che sei stato stupido per quattro o cinque volte”.
Ho estrapolato frasi dal libro, ma quali! ma quante! e nel farlo ho pensato: ecco! con queste si potrebbe già scrivere un altro racconto, se non un romanzo… o una poesia! Magari così semplice e pertanto più vera, pertanto più nostra, perché nessuno di noi sa, come trovo in una poesia di Monica Maggi: quanto sia lungo il ponte da un lato all’altro della vita.
Guido Fauro
__________
Guido Fauro è nato in Friuli, e vive e lavora a Roma. Laureato in Lettere – con una tesi su I costumi di corte a Bisanzio – e ancora specializzato in Storia dell’Arte – con una tesi su Il costume veneziano nel Settecento, attraverso la lettura di alcuni corredi dotali – richiesto da Istituti di formazione per stilisti, dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma, dalle Università di Trieste e Firenze, ha insegnato e insegna Storia del costume, Storia della moda e sua organizzazione, Storia dell’arte. Nell’ambito della ricerca, ha all’attivo alcune pubblicazioni per riviste del settore e per conto della Enciclopedia Italiana Treccani; con interventi sulla Storia del costume, ha partecipato a convegni di carattere internazionale. Come stilista e redattore, ha collaborato con atelier, industrie e riviste di moda femminile, occupandosi soprattutto di accessori.
__________
scheda libro:
Due margherite dispari