Plinio Perilli legge “L’orizzonte alle spalle” di Rosa Riggio
Per Rosa Riggio
che canta l’amore pensandolo,
pensandosi – caos di sé
e manifesto segreto
che ci accomuna
Senza romanticismi stucchevoli, recitati con le battute dei millenni, né – peggio – femministici luoghi comuni, Rosa Riggio, poetessa giovane ma già esperta, non meno inquieta che serena (calabrese di Siderno, ma da anni vive a Viterbo, dove peraltro insegna Lettere; prima raccolta poetica nel 2005, dal titolo assai indicativo: Un elaborato silenzio), ci dona oggi con L’orizzonte alle spalle (FusibiliaLibri, 2014), pp. 88, Euro 13,00) un “Breviario d’amore” assolutamente moderno ma educato al classico, finalmente fuori dagli schemi e perfino dalle precarie certezze della letteratura cosiddetta al femminile, et similia:
Amore sì, manifesto segreto
che sale e circonda i tuoi passi, i miei
gesti, i tuoi occhi, che s’immerge e
percuote, risacca sorgente, che lega
e sprofonda. Tu onda, tu vita.
Rosa Riggio canta l’amore sempre come pensandolo, pensandosi: come se l’intelletto, di questo amore – una sorta di contemporaneo ragionar cortese, in perfetto stil novo del 2000 – fosse assai più importante, ed ha ragione, del rubricare patèmi, gesti, dissidi, slanci, attese, ritrosìe… Che pure qua dentro ci sono tutte, mediate certo in pensiero, pensiero poetante, Frammenti d’un discorso amoroso – avrebbe detto Roland Barthes, che negli anni ’70, quando Rosa era bimba, furoreggiava studiando, da illuminato “strutturalista”, l’incontro/scontro tra la lingua come patrimonio collettivo e il linguaggio individuale…
Dietro di me
l’orizzonte del mio destino.
Qui sono superate sia le illuminazioni che le affettazioni “semiologiche” – ma egualmente l’impero dei segni e/o il c.d. “grado zero” della scrittura (cioè il modo parlato) presiedono a questa sua voglia di parlare d’amore, ragionar d’amore pensandosi come fuori di esso – in perfetta (teatrale? brechtiana!) tecnica di straniamento.
Sto nelle cose. E ogni gesto che faccio
si fa da solo, staccato da me.
Da quella distanza mi guardo
e quella cosa che cade dall’occhio
è una dura consistenza.
Staccato da me, mi guardo, cade dall’occhio… Sono esattamente, secoli e secoli dopo, gli stilemi, i tòpoi macerati e fulgidi dello “Stil Novo”: di una poesia insomma ardente ma introiettata, metafisica, combusta di sé, appassionata ma cadenzata in pensiero (che qui aggreghiamo, saldiamo come la prosa lirica e ragionativa d’un baldo trattatello medioevale, cortese e curtense, tipo il De amore di Andrea Cappellano…):
All’invisibile orto del mio desiderio, non mi redime l’affollata solitudine, una lenta progenie di errori, forse un naufrago inganno, in questo volto in esilio, l’inatteso così mi prende per mano, l’immanifesto dolore, in te calamita di tenero infinito…
Rosa, l’abbiamo visto, elabora il silenzio (“sono del mio pensiero / la sua ustione”, scriveva già nel 2005): il silenzio della donna e di ogni donna che da decenni o secoli sta cercando Le parole per dirlo (il grande romanzo della Marie Cardinal segnò forse il culmine della grande, sacrosanta stagione del femminismo)…
Ma quel silenzio raggiunto – sia ben chiaro – conclama e contiene il caos, pòlemos, pàthos, naturalmente ogni balsamo e freccia di Eros:
Sia allora nuovo caos di sé,
tra le righe e il tonfo di una voce
in lotta con una rinnovata bellezza.
Il lampo di un’immagine rischiari
il balbettio del lento morire.
Non so se, come scrive libera e affettuosa Fortuna della Porta, la poesia “Al femminile” equivalga più o meno sempre “al pregiudizio di una poetica legata a un deleterio psicologismo”… Non so se il poeta “donna” eccella nella “raffinatezza dell’introspezione”, nella “generosità della confessione”, “dettaglio dell’anima profonda” – rispetto al poeta “uomo” allineato, dice Fortuna, agli antipodi… E cioè, ammettiamolo, spesso banale di forza e d’assoluto: una poesia al maschile, come dire imperiosa, egotista di poetica…
Personalmente non riesco mai a spostare o sposare integralmente le categorie “di genere” (oggi se ne parla fin troppo) in merito ai giudizi artistici o poetici; e quando penso a un grande autore (cito apposta talenti come Emily Dickinson, Virginia Woolf, la stessa Plath), fatico a rieducarmi all’accezione del sesso, e m’immergo anzi nella neutralità assoluta del talento e del genio – così come degli angeli…
Non c’è spazio per nessuno
dentro la nostra sola distanza.
Persiste un patto segreto, furioso,
nella calma apparente delle nostre
braccia conserte. Siamo pura sostanza.
Ecco, se una cosa m’intriga, in questa bella poesia della Riggio, moderna e d’eccellenza, è il voler anzitutto ribaltare tutte le posizioni, le strategie, perfino i privilegi, le invettive o le annose, usurate contumelie con cui e fra cui usava muoversi, operare e poetare la precedente “Donna in poesia”… Negli anni ’70 uscivano a iosa raccolte di autocoscienza e rivendicazione paritaria (ricordo un peraltro bellissimo Inno all’utero di Livia Candiani). Poi le sacrosante rivendicazioni e gli egualitarismi finalmente vincenti, la par condicio raggiunta – hanno certamente spostato in là il panorama, l’orizzonte anche del nuovo poièin… Ma nessuno(a) rinneghi quella dura, aspra cronaca che già ci fu Storia, e ogni giorno può tornare ad esserlo, per vincersi e ingloriare ogni nostro, sacrosanto diritto/dovere… Dacci oggi il nostro progressismo quotidiano!…
(Rosa gioca qui un’enjambement adorabile, acuminato e strategico: “quotidiano / tormento” – e poi a ruota cadenza una rima interna, allineata e implosiva: “tormento, appuntamento”)…
Sono stata un’erinni di quotidiano
tormento, appuntamento
di dispettosa sibilla
con il suo frutto indolente.
L’orizzonte, Rosa Riggio, se lo sente invece alle spalle – la scena è ora come ribaltata, e per fortuna ella si pensa amante, amata, amorosa, ma libera da ogni stilema lirico di sorta… Rosa ci pensa, ripensa e si pensa. Non c’è insomma modernità liquida che più ci salvi, forse vuol dirci Rosa (altro che Bauman, e i suoi sociologismi à la page!): né Caos calmo (da Veronesi a Moretti) che possa darci tregua, o farsene una ragione… L’intelletto d’amore della Rosa/Rosae di oggi, è anzitutto loico, laico, stoico, icastico (s’allitterra già a dirsi!):
Ma con me porto un segreto
è il tuo volto chiuso nel file
dei ricordi, recuperati dal mare
in custodia tra i bip della memoria
volto che emerge e scompare
intermittente promessa
Citazioni qui non ce ne sono – la sua vena è originale, ispirata – ma si sente, s’irradia, un’educazione poetica sana, densa, radicata, avvertita, che ci conduce in territori fertili, e forse proprio da lì riparte…
Nel sogno è un cerchio di luce
(senza memoria)
e nasce, istante per istante
Ecco allora la melodia concettuale della Dickinson, col suo fervore gnomico, integro e puro, a schegge e scaglie di pensiero quotidiano, in bacio o morso d’esistenza, sempre salvifico, dal lutto alla (ri)nascita (penso al frammento 721: “Due abissi: dietro a me l’eternità, / sotto il mio sguardo l’immortalità, / ed io al loro confine…”).
Ripetiamo: qui vige e s’ingemma, monologa e s’accalora, un certo uso adorabile, riaggiornato dello Stil Novo inteso però come istituto filosofico, metodo d’un amore che si ragiona, discetta l’anima per esegesi di puro cuore:
Oh avvenire, raccogliersi è un ordine
del fato nel qui, nell’adesso.
Rosa Riggio lo esclama, ma senza punti esclamativi¸ come nel continuum di un’unica, inesorabile asserzione… Il qui, l’adesso, l’Hic et Nunc di classica misura. Anche, l’elegia senza tempo di Catullo, riflessiva e in panne; le nuances agrodolci di Orazio, un carpe diem che non ha mai smesso di crederci, all’Eterno, ma proprio diffidandone, parcellizzandolo in sonore battute, sequele lirico-gnoseologiche, che ergono a sussurrante e fiero monologo ogni quiescenza o stadio dell’anima:
Tutto compiuto? Quanti occhi
quante visioni in corsa nel tempo
dal big bang all’apocalisse
fino a questo spostarsi lento
di ogni cosa, moviola del
nostro raggiungerci, ma dove e quando.
Raggiungerci (e vale anche per la Poesia – come arte o scienza del proprio Stile!) che è un raggiungere due volte: raggiungere amore, l’amore, l’amato/amante – ma anche e soprattutto raggiungersi – raggiungere Sé e l’Altro da Sé. Raggiungere e specchiarsi:
Più tardi, davanti allo specchio, cercavo
un appiglio, la forza nel volto
in fuga, lo sguardo oltre l’abisso
(smarrimento dell’io)
troppo tardi per riavvolgere il nastro.
Qui il Tempo è ovunque, ma diventa Spazio, Anima, Amore, si categorizza… Così come amore è sempre il nostro segreto assoluto d’intimità – ma anche quello stesso di tutti. Mistico e perfido, infantile e sapiente, autoironico a tratti, inopinatamente esemplare:
Dentro di me continuo a precipitare
in quella mattina.
E mi chiedo
come abbiamo potuto
sopportare che il tempo
ci sopravvivesse.